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mercoledì 8 febbraio 2017

Pagine ingiallite [3] Francesco Mastriani e “Il mio cadavere”

Francesco Mastriani
Intellettuale trasversale la cui produzione attraversa tutto l' 800, Francesco Mastriani nasce a Napoli nel 1819 da agiata famiglia borghese.
Attivo giornalista, drammaturgo, precursore della narrativa sociale e di denuncia e anticipatore dei temi che hanno condotto alle grandi correnti del verismo e del meridionalismo, questo artista è interessante per questa rubrica dedicata al giallo perché è l'autore de “Il mio cadavere”, considerato da molti studiosi il primo libro di questo genere ad esser stato scritto in Italia.
Pubblicata nel 1852 a puntate sulle pagine del quotidiano partenopeo Roma e in volume nel 1853 dall'editore Rossi di Genova, quest'opera, sullo sfondo della Napoli del 1826, narra le vicissitudini di quattro persone: Daniele, un giovane maestro di musica che nel corso della narrazione si scoprirà essere ben altro, Lucia, che si ritrova a far da madre ai propri fratelli dopo la dipartita dei propri genitori, Edmondo, un ricchissimo baronetto vittima del proprio tenore di vita decisamente dissoluto ed Emma, ereditiera di una nobile famiglia spagnola.
Questi personaggi, a cui fanno da contorno numerose altre figure minori fondamentali però per la felice risoluzione delle trame del testo in cui confluiscono elementi vari e diversi in un intreccio ricchissimo e appassionante, hanno in comune il legame con un cadavere e sono protagonisti di vicende amorose e nere che, pur se concepite più di cent'anni fa, non sfigurerebbero in un romanzo giallo odierno.
Un tratto che differenzia quest'opera dalla produzione letteraria noir moderna sta nel fatto che in questo volume non c'è il classico investigatore o funzionario di polizia che esegue indagini sulle morti di cui è disseminato il romanzo.
La narrazione in terza persona è affidata ad una figura esterna che, oltre a rendere partecipe il lettore delle azioni, delle considerazioni e dei pensieri dei protagonisti, presenta le numerose persone che si incontrano nel dipanarsi della vicenda.
Una curiosità da mettere in evidenza è che nel 2010, esattamente 158 anni dalla pubblicazione originaria, questo testo, scritto originariamente in un italiano ottocentesco, è stato riscoperto dal giovane scrittore viareggino Divier Nelli che, dopo averlo rivisitato alleggerendone la lingua senza nulla togliere o aggiungere però alla trama originaria avvincente e ricca di colpi di scena, lo ha reso il primo titolo dei Gialli Rusconi, collana, che affianca opere inedite e contemporanee a testi del passato, dedicata dal gruppo editoriale emiliano Rusconi Libri alla narrativa di tensione italiana e straniera.
Quest'operazione, che ha fatto storcere il naso ai puristi, si inquadra nella volontà dell'autore versiliese di restituire alla moltitudine degli appassionati il piacere della riscoperta dei classici della letteratura del passato e di permette ai lettori moderni di affrontare questo romanzo con più agio e di apprezzarlo.
Alla luce di quanto scritto non si può quindi che lodare Nelli per la coraggiosa operazione attuata e consigliare la lettura di questo testo, che per trama e colpi di scena non ha niente da invidiare alla produzione contemporanea, ad ogni appassionato di letteratura di genere e non.


mercoledì 9 aprile 2014

Pagine ingiallite [2] Jarro e “I ladri di cadaveri”

Jarro in cucina
sulla copertina dell'Almanacco Gastronomico del 1913
Romanziere, studioso di letteratura e storico, giornalista, critico teatrale attento, umorista, "giallista", esperto di gastronomia, intimo di Gabriele D’Annunzio che accompagnò durante la permanenza a Firenze, Giulio Piccini, in arte Jarro, tra i suo i contemporanei lasciò un segno indelebile.
Tra le sue opere più note si ricordano la pubblicazione, a sua cura, degli scritti di Dante Alighieri, di Andrea Cavalcanti, di Pietro Giordani, di Guido Vernani e di Jacopo Alighieri e la creazione di uno dei primi poliziotti seriali della letteratura italiana, il commissario Lucertolo, che apparve come protagonista in quattro romanzi pubblicati dalla Treves tra il 1883 e il 1884, anticipando Conan Doyle - che solo nel 1887 darà vita al suo Sherlock Holmes - di ben quattro anni.
Conobbe un discreto successo anche come gastronomo a partire dagli anni ottanta del XIX secolo, quando il quotidiano fiorentino "La Nazione" accoglieva nelle sue colonne, settimana dopo settimana, i suoi articoli di cucina.
Pubblicò inoltre volumi leggeri e intriganti sul teatro, a carattere critico, umoristico e aneddotico, parlando di cantanti, attori e attrici, acrobati, concertisti, musicisti, mimi e ballerine; biografie di uomini politici e un volume che, già nel 1910, apriva le porte alla nuova arte del cinema.
Nel 2004, grazie alle ricerche del giornalista veronese esperto di letteratura popolare Claudio Gallo, è uscito, per la casa editrice Aliberti di Reggio Emilia, “I ladri di cadaveri", romanzo scritto da Jarro nel l883 e ambientato nella Firenze degli anni trenta dell’ottocento.
L'opera, che affina gli elementi del feuilleton ottocentesco ponendo le basi per il giallo italiano contemporaneo, inizia con una descrizione dell'Osteria del Frate, un posto situato in mezzo a terreni incolti in una zona appartata e solitaria della periferia di Firenze, poco fuori Porta della Croce.
Qui bazzicano precettati e sospetti, un'accozzaglia di gente rozza, audace e manesca.
Un luogo ideale per mettere a segno rapine e delitti.
Proprio nella taverna si scatena di notte una furibonda rissa con conseguente accoltellamento e, verso l'alba, viene addirittura ritrovato davanti a quel postribolo un calesse con il cadavere di un uomo decapitato alla guida.
Poche ore dopo una donna spaventata e in stato confusionale si presenta al commissariato di Valfonda.
Sotto il braccio la poveretta tiene un altro macabro reperto: una mano di donna.
E, prima ancora che la polizia possa mettersi in moto, una testa mozzata viene rinvenuta in un'altra zona della città e nella Torre degli Amieri viene ritrovata un'orrenda pozza di sangue che preannuncia altre terribili morti.
Poco alla volta si diffonde la notizia che un terribile assassino si aggira per i sobborghi della città.
Un uomo che si diverte a disseminare Firenze con pezzi disarticolati delle sue vittime.
Chiamato a svolge re le indagini è Domenico Arganti, detto Lucertolo , commissario di Santa Maria Novella, animato da una foga inestinguibile e da una smania frenetica.
Nato quattro anni prima di Sherlock Holmes, come l'illustre collega utilizza - nell'analizzare indizi e scene del crimine - il metodo deduttivo; è abile nei travestimenti e si serve del popolo basso per cercare informazioni.
La sua bravura nell'interpretazione degli indizi e la formulazione di ipotesi sovente esatte portano poi ad una naturale antipatia nei suoi confronti.
Nonostante tutto però la capacità di sporcarsi le mani, di mischiarsi con la gente del popolo e l'amore per la famiglia lo rendono un personaggio non del tutto odioso agli occhi dei lettori.
Il libro, scritto in un italiano semplice con l'uso di alcuni termini toscani ottocenteschi, è ambientato nella Firenze dei reietti, dei conciatori, dei locandieri.
Le vicende torbide, la morbosità di alcuni personaggi, l'ambientazione notturna, le segrete e i messaggi clandestini rimandano ad alcuni aspetti di capolavori della letteratura gotica.
Jarro - sebbene con ogni probabilità conoscesse Poe, inventore dei capisaldi della letteratura poliziesca moderna - ha studiato verbali ed atti processuali fiorentini al fine di dare connotati credibili a indagini e inchieste, fulcro delle vicende.
Nonostante manchi la leggerezza di certi episodi, anche i più raccapriccianti, del romanzo d'appendice, questo libro non è una lettura impegnativa.
Da segnalare infine l'introduzione critica di Luca Crovi e la postfazione di Claudio Gallo che danno al lettore indicazioni precise sul periodo storico in cui è ambientato il romanzo e alcune informazioni biografiche sull'autore.
Lettura obbligatoria per gli amanti del giallo, quest'opera è anche consigliata a chi cerca un'abile ricostruzione di un delitto in un'ambientazione non consueta come quella della Firenze del 1836.

Copertinae edizioni Aliberti

domenica 1 aprile 2012

Pagine ingiallite [1] Giuseppe Ciabattini e i romanzi di “Tre Soldi”

Giuseppe Ciabattini
Parlando di romanzo giallo, con un particolare occhio di riguardo per la Toscana, non si può non ricordare la figura di Giuseppe Ciabattini.
Famoso scrittore, regista, commediografo e attore, nato ad Aulla, piccolo paese in provincia di Massa Carrara, nel 1882 e morto a Milano nel 1962 è noto, oltre che per aver recitato in numerosi film di gran richiamo, anche per aver lavorato per la radio.
Per questo media ha infatti creato numerosi e famosi personaggi, alcuni dei quali protagonisti di gialli radiofonici, tra cui, con lo pseudonimo di Giuseppe Catiani, l’ispettore Scala, presente nei radio sceneggiati “L’ispettore Scala” e “L’Ispettore Scala è in piedi”.
Nel 1956, inoltre, ha dato vita a due romanzi polizieschi molto originali.
Questi libri, pubblicati sulla testata “I gialli Mondadori”, sono ispirati a sei racconti, raccolti con il titolo “Sei casi per Tre Soldi”, trasmessi in un primo momento dalla radio e, in seguito, pubblicati dalla Mondadori in appendice ai volumi del giallo.
Per capire la novità di queste opere, bisogna analizzare il periodo storico in cui sono state pubblicate.
La seconda guerra mondiale era finita da poco e l’Italia ne era uscita sconfitta.
In questo contesto quindi, gli autori e gli intellettuali del bel paese guardavano con occhio benevolo all’America, meglio ancora agli Stati Uniti, la cui cultura rappresentava tutto ciò che poteva far dimenticare alla nazione di essere povera in canna.
Erano gli anni in cui Fred Buscaglione irrompeva sulla scena con canzoni, scritte da uno studente di giurisprudenza di nome Leo Chiosso, che parlavano con ironia di “bulli e pupe”, di New York e di Chicago, di duri spietati con i nemici, ma sempre in balia delle donne e dell’alcool e in cui Renato Carosone faceva la parodia di questa situazione e nel brano “Tu vuo’ fa l’americano” dipingeva la versione napoletana del mito degli Usa facendo un ritratto ironico di un giovane che si atteggiava a yankee.
In questo clima anche la letteratura poliziesca americana ebbe un’ampia diffusione.
In Italia cominciarono ad essere letti autori di romanzi, appartenenti al così detto genere hard boiled, che riuscivano a condire le loro storie con un po’ di sesso e di violenza, per suscitare quel gusto del proibito che, visto oggi, assomiglia a una barzelletta.
Ed è proprio in questi anni, per l’esattezza nel 1956, che Giuseppe Ciabattini pubblica i suoi libri.
Questi volumi hanno per protagonisti Tre Soldi e il socio Boero, due clochard, che in una città che anche se non viene mai nominata ricorda molto da vicino Milano, vagano alla ricerca di pezzi di carta da raccogliere e rivendere.
A questo, Tre Soldi, unisce una passione smodata per la lettura di libri gialli e ben presto, grazie anche ad una certa capacità di ragionare sviluppata dalla vita solitaria, acquisisce una notevole tecnica investigativa che mette all'opera, non per denaro o per divertimento, ma solo per umanità.
Gli ambienti che frequenta spesso gli forniscono dei casi e il simpatico vagabondo è subito pronto all'azione spinto da un istintivo senso di giustizia e di onestà e da un forte desiderio di avventura.
Così, prima che la polizia giunga alla conclusione, al Commissario di zona viene recapitata una lettera, piena di errori di ortografia, ma con la soluzione del mistero.
Alla luce di quanto scritto, per la freschezza e la novità che questi romanzi hanno rappresentato per l'epoca, non si può non rammaricarsi per il fatto che la stagione di Tre Soldi sia stata brevissima.