giovedì 11 dicembre 2014

Gionni Peppe & Gionni Lupara

Autore: Benito Jacovitti
Editore: Edizioni NPE
Collana: Nuvole d'autore
N° pagine: 128
Anno d'uscita: 2013
Prezzo: € 19,90

Nel mese di aprile del 2013 hanno visto la luce per la prima volta in volume, nella loro versione originaria voluta dall'autore a colori, le avventure di “Gionni Peppe & Gionni Lupara”.
Stampate nella collana “Nuvole d'autore” delle Edizioni NPE, dedicata alla riproposta della produzione del grande fumettista di Termoli Benito Jacovitti, queste storie, apparse originariamente su “Linus” nel 1973 e nel 1974 in bianco e nero e censurate a causa della pungente satira politica che le contraddistingueva, narrano le gesta di un giovane gangster che, dopo essere stato un duro di Kansas City dallo spiccato accento romanesco, diviene un picciotto siculo.
Le tavole di questi serial, a cui fanno da contorno interventi critici di Luca Boschi e Andrea Sani, che ripercorrono la carriera di Jacovitti e toccano punti interessanti come quello della censura alla quale dovette sottostare durante la collaborazione con Linus, sono, come di solito avviene quando si parla del grande autore molisano, estremamente affollate di personaggi, mani, piedi, salami, vermi, matite, dadi e pettini.
Questa ricchezza di particolari però, non rende la narrazione dispersiva ma, al contrario, fa si che la trama si faccia seguire fino in fondo e sia estremamente appassionante e coinvolgente.
Nonostante le vicende presentate propongano una parodia dei film gangsteristici, tanto di moda in quel periodo, non mancano legami dei personaggi e delle ambientazioni con l'attualità, riferimenti alle tensioni politiche e sociali che caratterizzarono i primi Anni Settanta del '900, spuntano qua e là nelle vignette cartelli con su scritto “Raglia raglia Giovane Itaglia” o soggetti che confessano di essere così per colpa della società, e frecciatine ad Oreste Del Buono, allora direttore di “Linus”, agli autori ospitati nella rivista e alle attività delle sinistre.
Altre caratteristiche che rendono quest'opera molto appetibile per ogni appassionato sono: trovate divertentissime all'insegna di uno humour pungente e di una satira spietata nei confronti di una società in cui terrorismo e attentati erano all'ordine del giorno, eroi memorabili, caratterizzati molto comicamente, come, per citarne solo alcuni, il temibile poliziotto spernacchiatore Billy Mandracchio o l’irascibile boss Nat Corlacchione e un linguaggio molto suggestivo, che mischia italiano popolare e dialetto con termini creati appositamente, che fa si che l'incedere del racconto, a dispetto dell'argomento trattato, sia leggero e scanzonato.
Tutti questi fattori, uniti ad una confezione molto curata e a un apparato redazionale, posto in calce all'albo, che contestualizza il significato delle trovate umoristiche di cui straripano le tavole, rendono la lettura di questo libro spassosa per un variegato numero di persone tra cui rientrano sicuramente sia gli amanti del buon fumetto che quelli di letteratura gialla e film polizieschi, ma anche chi voglia capire le dinamiche dell'Italia degli anni di piombo senza consultare noiosi manuali di storia.

sabato 15 novembre 2014

La mala ordina

Regia: Fernando Di Leo

Sceneggiatura: Fernando Di Leo, Augusto Finocchi, Ingo Hermess

Fotografia: Franco Villa

Musiche: Armando Trovajoli

Montaggio: Amedeo Giomini

Cast: Mario Adorf, Adolfo Celi, Henry Silva, Woody Strode

Anno d’uscita: 1972

Concepito inizialmente con il titolo "Ordini dall’altro mondo", "La mala ordina" rappresenta il secondo capitolo della Trilogia del Milieu diretta da Fernando Di Leo all’inizio degli anni Settanta.
Il rapporto del film con i racconti di Giorgio Scerbanenco è, in questo caso, più chiaro che in "Milano calibro 9".

Anzi, proprio dall'omonimo racconto, che aveva dato il titolo al precedente lavoro, Di Leo trae spunto per la situazione di base del plot, in cui un piccolo “pappone” milanese, Luca Canali, finisce, senza colpa, nella ragnatela di un regolamento di conti tra i pezzi grossi dell’Organizzazione e si vede costretto a lottare contro due killer newyorchesi spediti in Italia per liquidarlo.

Per il ruolo del protagonista si era pensato in un primo momento a Mario Petri, che era stato attivo nel genere peplum e si era quindi dedicato al canto lirico, ma la scelta finale cadde su Mario Adorf, che già in "Milano calibro 9" si era distinto nella caratterizzazione di un gangster smargiasso e sanguigno.

Luca Canali recupera aspetti del precedente Rocco Musco, a livello formale, ma la caratterizzazione del personaggio da parte di Adorf in questo lungometraggio si fa più complessa ed è perfetta la progressione con cui Di Leo lo fa evolvere da vittima sbigottita degli eventi a spietato giustiziere mosso dal motore della disperazione.

"La mala ordina" segna, inoltre, l’ingresso nella compagine dileiana di due attori che torneranno spesso nelle successive pellicole del regista: Henry Silva e Woody Stroode, perfetti come coppia di killer agli ordini del potentissimo Mr. Corso.

L’egida produttiva del film è sempre quella della Daunia, associata per l’occasione alla tedesca Hermes Synchron (e il coproduttore Ingo Hermes appare accreditato in sceneggiatura, per ragioni esclusivamente burocratiche, pur non avendo, in realtà, scritto nulla).

Anche il cast tecnico è il medesimo di "Milano calibro 9", mentre tra gli attori del film precedente Di Leo riconvoca Mario Adorf, cucendogli addosso il ruolo del protagonista, un piccolo “pappone” milanese che si trova invischiato suo malgrado in un regolamento di conti mafioso a causa di una partita di droga trafugata.

Oltre ai tempi e ai ritmi narrativi perfetti, le scene d’azione sono tra le migliori che Di Leo abbia mai girato: in particolare il lunghissimo e disperato inseguimento di Adorf dell’assassino di sua moglie e di sua figlia, e oltre all’accuratezza nel definire psicologicamente le varie tipologie dell’universo delinquenziale, dai boss ai picciotti, “La mala ordina” colpisce per la precisione e la straordinaria resa degli interpreti principali: Mario Adorf, innocuo “pappone” capace di trasformarsi in una belva, gli americani Henry Silva e Woody Stroode, inedita e ben assortita coppia di spietati killer, e Adolfo Celi, nel ruolo del capo dell'Organizzazione, nello stesso tempo spregevole opportunista e uomo d’onore.

giovedì 6 novembre 2014

Il tesoro di Leonardo

Autore: Massimo Polidoro
Editore: Edizioni Piemme
Collana: Il battello a vapore
Data di Pubblicazione: Ottobre 2014
Pagine: 288
Prezzo: € 16,00

A quella di giornalista e di divulgatore scientifico, Massimo Polidoro, psicologo, investigatore di fenomeni paranormali e segretario nazionale del CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze), affianca dal 2006, anno in cui è uscito “Il profeta del Reich”, una intensa attività letteraria.
E proprio questa occupazione l'ha portato alla pubblicazione, nella collana delle Edizioni Piemme dedicata ai ragazzi Il Battello a Vapore, del libro “Il tesoro di Leonardo”, uscito alla fine del mese di ottobre nelle librerie italiane.
Questo volume, che si può ascrivere al genere del giallo storico, partendo da suggestioni legate a misteri riguardanti Leonardo Da Vinci e la sua produzione artistica, ingegneristica e letteraria, racconta un'avventura che ruota attorno a sue fantomatiche ricchezze.
Protagonisti delle vicende narrate, avvincenti e piene di tensione, sono due ragazzini: Leo e Cecilia, che si conoscono per caso al Castello Sforzesco di Milano.
Da questo luogo partirà una suggestiva caccia al tesoro, sulla traccia di indizi che Leonardo ha disseminato per il capoluogo lombardo, che vedrà i due eroi scontrarsi con un misterioso e ricchissimo collezionista d'arte che farà di tutto per impadronirsi dei beni del genio toscano.
Inutile dire che, tra un colpo di scena e l'altro, il lieto fine è assicurato e che la conclusione del volume vedrà tra gli altri comprimari, tutti caratterizzati molto accuratamente sia dal punto di vista fisico che psicologico, l'apparizione di un personaggio la cui presenza sarà fondamentale per la risoluzione delle trame tessute con grande maestria dall'autore.
Polidoro con il ritmo coinvolgente e lo stile asciutto che caratterizza i suoi lavori fa conoscere al giovane pubblico a cui si rivolge l'opera, tramite alcuni escamotage, una delle figure più rappresentative del rinascimento italiano.
Per quanto riguarda le ambientazioni, molto curate e baste su scorci che lo scrittore sembra conoscere bene, la Milano in cui si muovono gli attori degli eventi è estremamente riconoscibile con i suoi musei, le chiese, le strade e gli edifici che fanno da cornice a una storia ricca di pathos.
Molto bella e suggestiva infine, anche la copertina del disegnatore meneghino Matteo Piana grazie alla quale, attraverso una grafica curatissima, colori luminosi e una composizione imponente, il lettore ha un impatto immediato con i protagonisti del romanzo.
Tutti questi fattori fanno si che la lettura di questo libro, che si rivolge ad una variegata platea di persone, sia consigliata sia agli appassionati di letteratura gialla che a quelli di misteri e della storia italiana del 1500.

venerdì 24 ottobre 2014

Uccidi il padre

Autore: Sandrone Dazieri
Editore: Arnoldo Mondadori Editore
Mese di uscita: Maggio 2014
Collana: OMNIBUS
N° Pagine: 562
Prezzo: € 18,00

Pubblicata da Mondadori e uscita nelle librerie italiane nel maggio del 2014, “Uccidi il padre” è un'opera dello scrittore e sceneggiatore cremonese Sandrone Dazieri.
Abbandonato il suo personaggio più famoso, il Gorilla, protagonista di una serie di romanzi noir metropolitani molto amati da un vasto numero di lettori e di un film interpretato da Claudio Bisio, l'autore dà vita ad un thriller frenetico e claustrofobico.
Scritto con uno stile scorrevole e asciutto e dotato di dialoghi scarni e incisivi questo libro, che nonostante le 562 pagine di cui è composto costituisce una lettura veloce, appassionante e ricca di tensione e colpi di scena, si può considerare la risposta italiana a “The Manchurian Candidate” di Richard Condon.
Cardini della vicenda, il cui svolgimento ricorda a grandi linee quello de “Il silenzio degli innocenti”, sono tre persone molto diverse tra loro: Colomba Caselli, una poliziotta in congedo dopo un evento tragico a cui ha assistito impotente, Dante Torre, un esperto di individui scomparsi e abusi infantili, le cui incredibili capacità deduttive sono eguagliate solo dalle sue fobie e paranoie, soprannominato “l'uomo del silos” perché da bambino è stato cresciuto ed educato all'interno di un silos e un individuo, “Il Padre”, l'unico contatto che, durante la prigionia, Dante aveva con il mondo esterno.
Affiancati da comprimari molto ben connotati, sia fisicamente che psicologicamente, questi soggetti sono gli interpreti di una storia che, nonostante sia un'opera di fantasia che parte come una normale caccia ad un serial killer, prendendo spunto da reali attività svolte dalla CIA, durante gli anni cinquanta e sessanta del XX secolo, che avevano come scopo quello di influenzare e controllare il comportamento delle persone, assume peculiarità diverse da quelle che il lettore si aspetta, spiazzandolo e rendendolo partecipe di eventi che coinvolgono alte entità come stato ed esercito.
A dimostrazione della plausibilità della trama poi, anche le ambientazioni sono precise e ben documentate.
I fatti si svolgono a Roma e Cremona, due città che Dazieri conosce molto bene, in cui alla descrizione di zone di fantasia, funzionali allo svolgimento degli episodi narrati, sono alternate quelle di luoghi geografici ben precisi.
A questi tratti si aggiunge una scansione dei capitoli molto equilibrata e un ritmo serrato in cui a momenti frenetici si alternano attimi di tranquillità.
Il finale, in cui si arriverà a tirare tutte le fila degli intrecci, è molto ben costruito ma nonostante ciò all'improvviso vengono a galla sottotrame che daranno adito ad altri dubbi che non saranno risolti.
Alla luce di quanto scritto si può quindi affermare, senza paura di smentite, che questo volume sia una lettura consigliatissima oltre che per gli appassionati di letteratura gialla anche per chi cerca in un romanzo spunti di riflessione e trame appassionanti.

giovedì 16 ottobre 2014

Milano calibro 9

Regia: Fernando Di Leo

Fotografia: Franco Villa

Musiche: Luis Enriquez Bacalov

Montaggio: Amedeo Giomini

Cast: Gastone Moschin, Barbara Bouchet, Mario Adorf, Philippe Leroy, Lionel Stander

 Anno d’uscita: 1972


"Milano Calibro 9", film girato nel 1971 e uscito l’anno successivo, è il primo capitolo della celebre Trilogia del Milieu, continuata da "La mala ordina" e conclusa da "Il boss", nel corso della quale Fernando di Leo esplora i vari aspetti del mondo della criminalità organizzata.
Il titolo del film è tratto da quello di un racconto di Giorgio Scerbanenco e sempre dallo scrittore russo derivano alcuni spunti di sceneggiatura, per esempio il pacco bomba alla stazione, derivato da "Stazione centrale ammazzare subito".

Al di là degli spunti però, si può dire che Di Leo abbia costruito il proprio lungometraggio in assoluta autonomia utilizzando la categoria del noir per un personale discorso sociologico e antropologico, oltre che filosofico, sull’universo delinquenziale.

La riuscita perfetta di "Milano calibro 9" passa anche attraverso l’uso accorto degli attori, in particolare Gastone Moschin, che per la prima volta nella sua carriera si cimenta in un ruolo drammatico, Barbara Bouchet, nella cui bellezza il regista trovò riflessi di ferocia adatti al personaggio, Mario Adorf, artefice di una caratterizzazione memorabile nella parte del violento e sardonico Rocco Musco e Lionel Stander che inaugura la tradizione dei grandi interpreti hollywoodiani adottati da Di Leo nei propri noir.

Ma vera protagonista del film è la città, Milano, che si affranca da una pura funzione di sfondo della vicenda narrata diventando un centro nevralgico di lotte intestine tra la malavita e un ganglio di interessi economici sporchi.

"Milano calibro 9", come si è precedentemente detto, girato sul finire del 1971, è il primo capitolo ideale di una trilogia che si andrà completando nei due anni successivi con "La mala ordina" e "Il boss", nell’arco della quale Di Leo traccerà le coordinate di un nuovo universo del crimine quale si era andato affermando in Italia e soprattutto nelle grandi metropoli del nord in quegli anni.
Una visione diretta, secca, priva di orpelli ma straordinariamente acuta e con esiti lirici nella sua capacità di afferrare l’essenza antropologica degli individui, distinguendone i tipi e sottolineandone le psicologie, con un occhio sempre fisso alla società che produce i “delinquenti”.

I noir dileiaini diventano così una chiave interpretativa del reale, delle sue contraddizioni, e dell’irriducibilità dialettica tra apparenza e destino.

"Milano calibro 9", originariamente pensato con il titolo "Da lunedì a lunedì", uscì nei cinema in una forma lievemente diversa da quella in cui è poi circolato nei supporti home-video, con la sovraimpressione di giorni e ore a scandire le varie fasi della storia e a dare il senso del procedere inesorabile del tempo.

Grande pregnanza al tutto offre infine la colonna sonora, composta da Luis Bacalov ed eseguita dal gruppo degli Osanna, che commenta magnificamente l’alternarsi di crudeltà e lirismo alla base di quello che giustamente si considera il capolavoro di Fernando di Leo.

mercoledì 8 ottobre 2014

Carta bianca

Autore: Carlo Lucarelli
Editore: Einaudi
Collana: Stile Libero Big
N° pagine: 112
Anno d'uscita: 2014
Prezzo:
€ 12,00

Pubblicato originariamente da Sellerio nel 1990 e riproposto ventiquattr'anni dopo dalla casa editrice Einaudi di Torino, nella collana “Stile libero big”, “Carta Bianca” è il romanzo di esordio dello scrittore, regista, sceneggiatore, conduttore televisivo e giornalista emiliano Carlo Lucarelli.
Noir storico a sfondo poliziesco, ambientato nell'aprile del 1945 in un'Italia devastata dalla guerra civile e dagli ultimi brandelli del secondo conflitto mondiale e della Repubblica di Salò, questo breve libro vede il commissario Achille De Luca della questura di Bologna, accompagnato del maresciallo Pugliese, indagare sulla morte di Vittorio Rehinard, donnaiolo impenitente e personaggio ambiguo che gode di molte amicizie importanti e altolocate.
L'inchiesta si rivelerà molto difficile poiché questo omicidio scoperchierà un ambiente in cui sesso e droga fanno da padroni e metterà in luce uno scontro in atto tra due fazioni contrapposte del partito fascista nel corso del quale il protagonista della vicenda narrata si accorgerà di come la carta bianca data dai suoi superiori è solo apparenza.
Nonostante ciò De Luca, poliziotto tutto d'un pezzo ex esponente della brigata Ettore Muti, mettendosi contro alte personalità politiche e militari e non arrendendosi all'idea di una soluzione comoda riuscirà a venire a capo degli intricati eventi trovando il colpevole del delitto.
Sebbene, a causa della brevità, questo volume non spicchi per una trama articolata si fa apprezzare per una ricostruzione storica accurata e puntuale, derivata da una tesi sulla Polizia nella Repubblica Sociale, di un periodo molto delicato per l'Italia.
Un altro tratto caratteristico di questo tomo, che inizia con una prefazione in cui l'autore racconta la genesi dell'opera, è l'attenta descrizione dei personaggi, sia dal punto di vista fisico che psicologico, resi più autentici dal ricorso a dettagli visivi, acciacchi, manie, insicurezze, e patologie che fanno in modo che non restino macchiette fine a se stesse.
La prosa, sobria ma molto d'effetto, efficace e immediata, contribuisce infine a rendere il racconto avvincente e interessante anche dal punto di vista più propriamente letterario.
Con velate allusioni al presente, quasi a voler denunciare come corruzione e collusione siano caratteristiche innate degli esseri umani, sullo sfondo degli eventi criminosi viene poi descritta una classe politica allo sbando, con funzionari che lottano con tutti i mezzi, oltre che per salvare la propria pelle, per garantirsi un avvenire luminoso.
Tutti questi fattori, che hanno contribuito a rendere Carlo Lucarelli uno dei più affermati uomini di cultura italiani, fanno si che la lettura di questo romanzo sia estremamente consigliata sia agli appassionati di letteratura gialla e storia contemporanea che a chiunque sia in cerca di pubblicazioni avvincenti ed eroi a 360°.

lunedì 21 luglio 2014

Venere privata

Autore: Giorgio Scerbanenco
Editore: Garzanti Editore
Collana: Gli elefanti
Data di uscita: Maggio 2014
N° Pagine: 252
Prezzo: € 8,90

Autore di letteratura noir di insuperato livello, Giorgio Scerbanenco, italianizzazione di Volodymyr-Džordžo Ščerbanenko, è stato uno scrittore e giornalista di origine ucraina.
Artista prolifico e versatile trasferitosi in Italia in tenera età al seguito della madre, si stabilì a Milano, città in cui sono ambientate la maggior parte delle sue opere.
Oltre a praticare numerosi altri umili lavori come operaio e guidatore di ambulanze ha spaziato con assoluta maestria in ogni campo dell'editoria e della letteratura di genere, ma è stato con il giallo che ha raggiunto l'enorme successo che ha contraddistinto la sua carriera.
Tra le sue opere spiccano numerosi racconti e romanzi che hanno avuto, e continuano ad avere, molta fama tra gli appassionati e notevole ascendenza su un certo genere di cinema popolare italiano, il poliziottesco, in voga tra gli anni ‘70 e i primi anni ‘80 del novecento, che predilige azione e violenza e hanno ispirato numerosi film come, per citare il più famoso, “Milano calibro 9” di Fernando Di Leo.
I più noti sono i quattro libri dedicati a Duca Lamberti, un giovane medico radiato dall'Ordine e condannato al carcere per aver praticato l'eutanasia ad una vecchia signora che, uscito di prigione, diventa una sorta di investigatore privato che collabora con la questura meneghina di via Fate bene fratelli.
Suo referente è il commissario di origini sarde, amico del padre ex poliziotto, Luigi Càrrua, in seguito promosso alla carica di questore.
“Venere privata”, pubblicato originariamente nel 1966 e ristampato dall'editore Garzanti nel maggio del 2014 nella collana “Gli elefanti”, è il primo tomo della tetralogia.
In questo volume, la vita di un giovane di buona famiglia, ricco ma solo e debole, con un padre troppo lontano, troppo impegnato e soprattutto troppo sicuro delle proprie certezze, si intreccia per caso con il dramma di una ragazza giunta a Milano dalla provincia con una valigia piena di progetti e speranze, che viene travolta da un gioco crudele e più grande di lei.
Basato su una trama molto semplice, che sembra attingere a fatti di cronaca nera, condita da espedienti letterari che tengono il lettore avvinto alla pagina, mostra, anche grazie ad una scrittura asciutta e senza sbavature, uno spaccato dell'Italia degli anni '60, che rivela una nazione difficile, contraddittoria, cattiva, ansiosa di emergere e disincantata.
Molto ben delineati e psicologicamente caratterizzati sono anche i personaggi che danno vita alle vicende narrate a cominciare dal protagonista, una figura non del tutto positiva dal passato discutibile e macchiato da un delitto, che interagisce con eroi negativi, come ricchi alcolizzati e prostitute, che grazie alle loro qualità si redimono nel corso della storia.
Fa da cornice agli eventi descritti una Milano grigia, apatica, immobile, che diventa una metafora dell'indifferenza e del male di vivere che caratterizzano la modernità.
Una curiosità che conferma la qualità dei contenuti del romanzo, che si apre una prefazione dell'intellettuale Luca Doninelli e si chiude con un'appendice scritta di proprio pugno dall'autore dal titolo “Io, Vladimir Scerbanenko”, è che da questo è stato tratto “Il caso Venere privata”, un film del 1970 diretto da Yves Boisset.
Alla luce di quanto scritto si può affermare quindi, senza paura di smentite, che la lettura dei testi di questo Chandler italiano sia consigliatissima sia agli appassionati di letteratura poliziesca che a chi ricerchi libri di fiction in cui l'ambientazione non sia solo un mero contorno.

domenica 15 giugno 2014

Vallanzasca – Gli angeli del male

  

Il 28 gennaio 2011 al cinema Eolo sulla passeggiata a mare di Viareggio ho assistito alla proiezione del film “Vallanzasca – Gli angeli del male”.
Diretto dal regista Michele Placido, basato su uno script tratto dal libro autobiografico “Il fiore del male: bandito a Milano” scritto dallo stesso malvivente lombardo con l’aiuto del giornalista Carlo Bonini, il lungometraggio narra di un anziano Vallanzasca che, rinchiuso in un carcere di massima sicurezza per scontare una condanna a vita per i crimini commessi, ripercorre i ricordi di una gioventù passata, tra rapine, sequestri, omicidi ed evasioni, come capo di un clan criminale noto alla cronaca come banda della Comasina, che negli anni ’70 imperversò a Milano.
Opera molto convincente grazie alla ricostruzione storica molto precisa e puntuale e alla trama serrata e avvincente che si consuma sullo sfondo di una Milano patinata, opera della fotografia di Arnaldo Catinari, che ricorda il set di un film poliziottesco degli anni ’70, è interpretato alla perfezione da Kim Rossi Stuart che con Placido firma la sceneggiatura e presta volto, accento milanese e carattere smargiasso al protagonista.
Accanto a lui si muove un gruppo di attori, molto credibili e affiatati, all’interno del quale spiccano due figure di eccezionale intensità e spessore come Francesco Scianna, perfetto nonostante la sua giovane età nella parte del boss Francis Turatello, e Filippo Timi, allucinato e allucinante nella parte di Enzo, luogotenente di Vallanzasca.
Un’altra curiosità da mettere in evidenza è che questo lungometraggio è arricchito da una colonna sonora composta dalla rock band salentina dei Negramaro che bene si intona con le atmosfere cupe e patinate proprie del film.
Le reazioni del pubblico, come ho potuto constatare alla fine della proiezione, sono in piccolo quelle che hanno caratterizzato la pellicola alla sua uscita nelle sale.
C’è chi era scontento e ciò è condivisibile se s’inquadra quest’opera nella grande involuzione sociale che, sopratutto in Italia, ha portato criminali e persone di basso spessore a diventare i nuovi miti, idoli ed esempio per i giovani.
C’è chi era visibilmente attratto dalla trama e dalla ricostruzione storica e chi invece contrariato dalla contrapposizione tra un mondo passato, anche recente, dove gli uomini pagavano per le loro scelte sbagliate, e il mondo di oggi dove persone che dovrebbero essere in galera non solo sono fuori ma occupano posti di prestigio.
Nonostante le polemiche che hanno caratterizzato e caratterizzeranno questa pellicola non si può che affermare che questo lungometraggio, da guardare con estrema attenzione dall’inizio alla fine, grazie alle vicende del criminale milanese farà riflettere a lungo lo spettatore.

mercoledì 9 aprile 2014

Pagine ingiallite [2] Jarro e “I ladri di cadaveri”

Jarro in cucina
sulla copertina dell'Almanacco Gastronomico del 1913
Romanziere, studioso di letteratura e storico, giornalista, critico teatrale attento, umorista, "giallista", esperto di gastronomia, intimo di Gabriele D’Annunzio che accompagnò durante la permanenza a Firenze, Giulio Piccini, in arte Jarro, tra i suo i contemporanei lasciò un segno indelebile.
Tra le sue opere più note si ricordano la pubblicazione, a sua cura, degli scritti di Dante Alighieri, di Andrea Cavalcanti, di Pietro Giordani, di Guido Vernani e di Jacopo Alighieri e la creazione di uno dei primi poliziotti seriali della letteratura italiana, il commissario Lucertolo, che apparve come protagonista in quattro romanzi pubblicati dalla Treves tra il 1883 e il 1884, anticipando Conan Doyle - che solo nel 1887 darà vita al suo Sherlock Holmes - di ben quattro anni.
Conobbe un discreto successo anche come gastronomo a partire dagli anni ottanta del XIX secolo, quando il quotidiano fiorentino "La Nazione" accoglieva nelle sue colonne, settimana dopo settimana, i suoi articoli di cucina.
Pubblicò inoltre volumi leggeri e intriganti sul teatro, a carattere critico, umoristico e aneddotico, parlando di cantanti, attori e attrici, acrobati, concertisti, musicisti, mimi e ballerine; biografie di uomini politici e un volume che, già nel 1910, apriva le porte alla nuova arte del cinema.
Nel 2004, grazie alle ricerche del giornalista veronese esperto di letteratura popolare Claudio Gallo, è uscito, per la casa editrice Aliberti di Reggio Emilia, “I ladri di cadaveri", romanzo scritto da Jarro nel l883 e ambientato nella Firenze degli anni trenta dell’ottocento.
L'opera, che affina gli elementi del feuilleton ottocentesco ponendo le basi per il giallo italiano contemporaneo, inizia con una descrizione dell'Osteria del Frate, un posto situato in mezzo a terreni incolti in una zona appartata e solitaria della periferia di Firenze, poco fuori Porta della Croce.
Qui bazzicano precettati e sospetti, un'accozzaglia di gente rozza, audace e manesca.
Un luogo ideale per mettere a segno rapine e delitti.
Proprio nella taverna si scatena di notte una furibonda rissa con conseguente accoltellamento e, verso l'alba, viene addirittura ritrovato davanti a quel postribolo un calesse con il cadavere di un uomo decapitato alla guida.
Poche ore dopo una donna spaventata e in stato confusionale si presenta al commissariato di Valfonda.
Sotto il braccio la poveretta tiene un altro macabro reperto: una mano di donna.
E, prima ancora che la polizia possa mettersi in moto, una testa mozzata viene rinvenuta in un'altra zona della città e nella Torre degli Amieri viene ritrovata un'orrenda pozza di sangue che preannuncia altre terribili morti.
Poco alla volta si diffonde la notizia che un terribile assassino si aggira per i sobborghi della città.
Un uomo che si diverte a disseminare Firenze con pezzi disarticolati delle sue vittime.
Chiamato a svolge re le indagini è Domenico Arganti, detto Lucertolo , commissario di Santa Maria Novella, animato da una foga inestinguibile e da una smania frenetica.
Nato quattro anni prima di Sherlock Holmes, come l'illustre collega utilizza - nell'analizzare indizi e scene del crimine - il metodo deduttivo; è abile nei travestimenti e si serve del popolo basso per cercare informazioni.
La sua bravura nell'interpretazione degli indizi e la formulazione di ipotesi sovente esatte portano poi ad una naturale antipatia nei suoi confronti.
Nonostante tutto però la capacità di sporcarsi le mani, di mischiarsi con la gente del popolo e l'amore per la famiglia lo rendono un personaggio non del tutto odioso agli occhi dei lettori.
Il libro, scritto in un italiano semplice con l'uso di alcuni termini toscani ottocenteschi, è ambientato nella Firenze dei reietti, dei conciatori, dei locandieri.
Le vicende torbide, la morbosità di alcuni personaggi, l'ambientazione notturna, le segrete e i messaggi clandestini rimandano ad alcuni aspetti di capolavori della letteratura gotica.
Jarro - sebbene con ogni probabilità conoscesse Poe, inventore dei capisaldi della letteratura poliziesca moderna - ha studiato verbali ed atti processuali fiorentini al fine di dare connotati credibili a indagini e inchieste, fulcro delle vicende.
Nonostante manchi la leggerezza di certi episodi, anche i più raccapriccianti, del romanzo d'appendice, questo libro non è una lettura impegnativa.
Da segnalare infine l'introduzione critica di Luca Crovi e la postfazione di Claudio Gallo che danno al lettore indicazioni precise sul periodo storico in cui è ambientato il romanzo e alcune informazioni biografiche sull'autore.
Lettura obbligatoria per gli amanti del giallo, quest'opera è anche consigliata a chi cerca un'abile ricostruzione di un delitto in un'ambientazione non consueta come quella della Firenze del 1836.

Copertinae edizioni Aliberti

mercoledì 26 marzo 2014

Sette misteri per Sherlock Holmes

Autore: Enrico Solito
Editore: Hobby & Work Publishing
Collana: Mystery Pocket
Data di uscita: Gennaio 2000
N° Pagine: 284
Prezzo: € 5,90

Sono poche le persone, siano appassionati di letteratura poliziesca o semplici curiosi, che non conoscono, almeno per sentito dire, Sherlock Holmes.
Questo personaggio letterario, creato dalla penna dello scrittore, medico e poeta scozzese Arthur Conan Doyle, svolge il lavoro di investigatore privato ed è protagonista di quattro romanzi e cinquantasei racconti appartenenti al genere del giallo deduttivo, pubblicati quasi tutti sulle pagine della rivista “Strand Magazine” a partire dal 1887, narrati dal dottor John Watson e passati alla storia col nome di canone holmsiano.
Nonostante l'ampia produzione letteraria riguardante il famoso detective, molte sono le opere di autori diversi dal suo creatore, che vengono chiamate “apocrifi”, dove si immagina Sherlock Holmes alle prese con eventi e personalità del suo tempo e con vicende e relazioni, che pur non entrando in contraddizione con queste, sono diverse da quelle descritte nel canone.
Rientrano in questa tipologia le composizioni presenti nel volume, uscito nel gennaio del 2000 nella collana “Mystery Pocket” della casa editrice milanese Hobby & Work, “Sette misteri per Sherlock Holmes” del neuropsichiatra infantile, romanziere fiorentino e affiliato dell'associazione sherlockiana italiana “Uno Studio in Holmes” Enrico Solito.
Questi scritti appartenenti agli archivi segreti del dottor Watson, avvincenti e perfettamente in linea con gli originali, vedono il leggendario poliziotto privato, attorniato dai comprimari di sempre, alle prese con delitti “impossibili” ed enigmi mortali.
Le ambientazioni sono quelle classiche e non mancano riferimenti a personaggi storici veramente esistiti come un giovane Charlie Chaplin, il famoso fisico tedesco Albert Einstein e lo stesso creatore dei personaggi di Holmes e Watson Sir Arthur Conan Doyle.
Un altro tratto di pregio di quest'opera è che al suo interno contiene sette illustrazioni, una per ogni componimento, realizzate dalle abilissime mani di Alba Di Ferdinando e Riccardo Colasante dell'associazione Altrimondi, scelte, tra oltre trenta lavori, dall'autore e dall’allora curatore delle collane della Hobby & Work, Luigi Sanvito.
Un'ultima curiosità da mettere in evidenza poi, è che concludono questo tomo, in cui si intrecciano finzione letteraria, la descrizione di persone reali e di fatti veramente accaduti e indagini poliziesche di altissimo livello, appendici in cui si traccia una biografia sommaria di colui a cui è dedicata la narrazione, si accennano le regole del grande gioco degli apocrifi e si traccia un elenco sommario delle associazioni che nel mondo sono state dedicate al famoso consulente investigativo inglese.
Alla luce di quanti scritto si può affermare quindi che questo libro sia una lettura obbligata per ogni appassionato di letteratura gialla classica e per chi, rimasto impressionato dalla lezione del canone holmsiano, abbia voglia di immergersi in nuove avventure che abbiano per protagonisti gli eroi creati da Sir Arthur Conan Doyle.

lunedì 10 marzo 2014

Blacksad 5: Amarillo

Soggetto e sceneggiatura: Juan Díaz Canales
Disegni e copertina: Juanjo Guarnido
Editore: Rizzoli/Lizard
N° pagine: 56
Data d'uscita: Febbraio 2014
Prezzo: € 17,00

A tre anni di distanza dall'uscita dell'ultimo tomo, ha visto finalmente la luce, pubblicato in Italia come i precedenti dalla casa editrice Rizzoli Lizard, il quinto volume cartonato di “Blacksad”dal titolo “Amarillo”.
Le graphic novel che compongono questa collana a fumetti, ricche di pathos e suspense, create dagli autori spagnoli Juan Díaz Canales, che ne scrive i testi, e Juanjo Guarnido, che si occupa dei disegni, sono ambientate in un America degli anni '50 popolata da animali antropomorfi, su cui sono trasposte tutte le tipologie e i tratti umani, resi con segno morbido e accattivante e dalle caratteristiche psicologiche ben delineate.
Personaggio principale delle storie, ispirate ai classici del cinema noir e del giallo hardboiled, è il gatto nero John Blacksad, di professione investigatore privato.
In questo episodio il roccioso e disincantato felino viaggia da New Orleans verso Amarillo in Texas alla ricerca dello scrittore beatnik Chad Lowell scappato con un compare a bordo di un'auto rubata.
Durante questa caccia all'uomo, che si dipana lungo le strade degli Stati Uniti meridionali con una puntata in Messico, il protagonista, e con lui il lettore, visiterà luoghi ostici, uno su tutti il circo Sunflower pieno di artisti che faranno di tutto per ostacolare le sue indagini, e incontrerà numerosi comprimari e antagonisti, tra cui spicca l'agente letterario e avvocato Neal Beato, che, tra siparietti comici e grandi scene d'azione, renderanno il racconto concitato e ricco di colpi di scena.
Sebbene abbia tratti comuni con gli altri libri della serie come testi che pescano a piene mani dalla letteratura americana, una narrazione che non si concede punti morti, eroi fortemente espressivi realizzati con un segno tondeggiante e ambienti resi da colori dai toni caldi, questo albo si differenzia dai precedenti per tematiche e ambientazioni.
Somiglia infatti più a un romanzo della Beat Generation che a un noir vero e proprio.
I toni sono più solari e meno tesi e il tema del viaggio prevale sulle questioni violente.
Anche la copertina, in quest'ottica, è stata realizzata con colori luminosi che le conferiscono un aspetto sereno e positivo.
Nonostante ciò quest'opera, il cui svolgimento è basato comunque su vicende di criminalità, costituisce una lettura che soddisferà pienamente sia gli appassionati di fumetti che quelli di letteratura gialla e cinema poliziesco.

lunedì 10 febbraio 2014

La firma

Testi, disegni, copertina: Nazareno Giusti
Editore: Tagete Edizioni
Collana: fumetticrudi
Data di uscita: Settembre 2011
N° Pagine: 128
Prezzo: € 7,00

È convinzione di molti che il fumetto, in quanto ritenuto a torto in Italia una forma d'arte minore legata esclusivamente ad un pubblico infantile, non sia indicato per raccontare storie incentrate su argomenti caldi come politica e impegno sociale.
Queste persone dovranno ricredersi dopo aver letto “La firma”, volume pubblicato per conto di Tagete Edizioni, che inaugura la collana, ideata e diretta da Gianluca Caputo, Fumetti Crudi.
Scritto e disegnato dal giovane autore barghigiano Nazareno Giusti, questo libro, attraverso il ritratto dell'operaio e sindacalista italiano Guido Rossa, assassinato durante gli anni di piombo dall'organizzazione di estrema sinistra delle Brigate Rosse, offre una lettura dei giorni del terrorismo molto approfondita dal punto di vista storico.
Fanno da cornice alla trama, molto accurata e precisa sia per quanto riguarda il contesto sociale e culturale di quegli anni che la biografia del personaggio introno a cui ruota la vicenda, tavole realizzate in modo naturale e semplice con vignette disposte in maniera istintiva ma funzionale alla narrazione senza inutili virtuosismi, schemi rigidi e griglie che renderebbero la lettura lenta e macchinosa.
I brevi capitoli in cui è divisa la storia sono introdotti da citazioni di giornalisti, magistrati, politici, vittime del terrorismo e gente della strada che sottolineano la drammaticità degli avvenimenti che hanno portato un uomo ad essere ucciso solo per aver compiuto il suo dovere.
Degno di nota anche il segno di quest'opera in cui l'artista lucchese, che denota grande maturità grafica, con pochi tratti essenziali resi da matite, pennarelli e inchiostro di china diluito, va dritto al cuore della vicenda, in cui si mischia politica e vita vissuta, tenendo il lettore incollato alle pagine dell'albo fino all'ineluttabile finale.
Un'ultima curiosità da mettere in evidenza è che per inquadrare gli eventi raccontati in un ambito più ampio e definito questo tomo si conclude con brevi trattazioni della vita di Guido Rossa, delle circostanze che hanno portato alla sua morte, della storia delle Brigate Rosse e degli atti criminosi di questa associazione e di come il regista Giuseppe Ferrara abbia realizzato sull'episodio un film, “Guido che sfidò le Brigate Rosse”, che è uscito nei cinema due anni dopo la sua ultimazione.
Alla luce di quanto scritto non si può che consigliare la lettura di questo libro ad ogni appassionato di fumetti e sperare che iniziative come questa riescano ad avvicinare i più giovani alla storia recente del nostro paese spesso dimenticata o strumentalizzata.

domenica 2 febbraio 2014

Twin Peaks


Chi ha ucciso Laura Palmer?
Questo slogan suonerà familiare a chi, nei primi anni novanta, è rimasto affascinato dal telefilm che più ha segnato quella stagione televisiva: "I segreti di Twin Peaks".

A distanza di dodici anni dalla sua prima apparizione Italiana, che è avvenuta su Canale 5 nel 1991, il 26 novembre 2003 è uscito il cofanetto DVD con la prima stagione del serial.

La serie, nata dalla collaborazione tra lo sceneggiatore Mark Frost e il regista David Lynch, narra le indagini dell’eccentrico quanto improbabile agente dell’FBI Dale Cooper, inviato a Twin Peaks, immaginaria cittadina del Nord Ovest degli Stati Uniti, in seguito al misterioso ritrovamento del cadavere della reginetta del liceo avvolto nella plastica trasparente.

I due realizzano uno sceneggiato che è un ibrido tra una soap opera e un poliziesco, anche se il prodotto che ne esce, risulta andare oltre questi generi.
Se è vero infatti che "Twin Peaks" conserva la struttura dei generi citati dai quali attinge personaggi, situazioni e meccanismi narrativi, allo stesso tempo fa un uso distorto dei loro codici, considerandoli come semplice griglia di riferimento all’interno della quale si può trovare di tutto e dove tutto è possibile.
Un agente dell'FBI che ricava indizi dai sogni e dal lancio di pietre, società segrete, fenomeni paranormali, una donna che va in giro con un ceppo di legno in braccio, uomini d’affari che elaborano le loro strategie divorando baguettes ripiene di formaggio francese e giovani che sembrano essere usciti dagli anni ‘50.

Le soluzioni visive presentate dall’interezza degli episodi risultano inedite per una serie tv.
Troviamo infatti scenografie curate nei minimi particolari, una bellissima fotografia e musiche che si adattano perfettamente alle atmosfere inquietanti e stravaganti della serie.
Durante la prima stagione Lynch dirige soltanto l’episodio pilota e il secondo dei restanti sette, ma nonostante ciò, si nota in tutti la sua influenza sullo stile.
Alla luce di quanto scritto non si può che consigliare vivamente la visione di questo prodotto, molto valido sotto numerosi punti di vista, sia agli appassionati di noir che a quelli di serie Tv.

lunedì 20 gennaio 2014

Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto

Regia: Elio Petri
Soggetto e sceneggiatura: Elio Petri e Ugo Pirro
Fotografia: Luigi Kuveiller
Scenografia: Carlo Egidi
Musica: Ennio Morricone
Montaggio: Ruggero Mastroianni
Anno d’uscita: 1970
Durata: 110'
Prodotto da: Davide Senatore e Marina Cicogna per la Vera Film
Cast: Gian Maria Volontè, Florinda Bolkan, Gianni Santuccio, Orazio Orlando, Arturo Dominici

"Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto" è probabilmente il film più politico del cinema italiano e certamente il più significativo sotto l’aspetto storico e sociale.
Diretto da Elio Petri nel 1970, sceneggiato dallo stesso Petri con Ugo Pirro, accompagnato dalle musiche di Ennio Morricone e uscito nelle sale in quello stesso anno, ha avuto un’accoglienza a dir poco traumatica.
A causa della sua forte componente critica sui metodi adottati in quegli anni dalle forze dell’ordine infatti, la polizia denunciò immediatamente il film al sostituto procuratore della repubblica di Milano Caizzi, il quale però non ritenne opportuno procedere.
Da quel momento l’eco del messaggio politico spinse il film verso il successo.
A Roma, per esempio, furono anticipate le prime proiezioni pomeridiane e prolungate quelle serali.
A conferma della grande presa che il film ha avuto su pubblico e critica poi, bisogna ricordare che "Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto" ha ottenuto numerosi riconoscimenti sia a livello nazionale che internazionale.
Nel 1970 infatti ha vinto l’Oscar per il miglior film straniero, il Gran Premio della Giuria a Cannes e a Gian Maria Volonté è andato il David di Donatello come migliore attore.
Nel 1971 invece, Elio Petri, Gian Maria Volonté e Ugo Pirro, rispettivamente regista protagonista e sceneggiatore del film, hanno vinto un Nastro d’argento.
Personaggio principale del film è il capo della squadra omicidi di Roma interpretato dallo straordinario Gian Maria Volonté, che, nel giorno della sua promozione, uccide l’amante, interpretata dall’appassionata, stravagante e sensuale Florinda Bolkan, nel corso di un gioco erotico.
Certo di essere al di sopra di ogni sospetto in virtù della posizione di potere che occupa, Volontè, semina volutamente tracce e indizi a proprio carico.
Come previsto, le indagini intraprese dai colleghi della omicidi non lo toccano, ignorando le sue evidenti provocazioni.
Soltanto Antonio Pace, uno studente fermato per un attentato dinamitardo alla questura, personalmente “interrogato” dall’ispettore, in privato, ha il coraggio di dirgli che lo riconosce come assassino della donna, ma non lo denuncia e viene rilasciato.
In preda ad un delirio autopunitivo, l’ispettore consegna ai colleghi della omicidi una lettera di confessione.
Quindi rientra a casa e nella sua fantasia malata immagina le diverse conclusioni della vicenda.
Questo film ha un valore di testimonianza immenso, chiunque può, rivedendolo oggi, farsi un’idea di quello che era il clima di quegli anni, con il Sessantotto ancora caldo e gli anni delle nuove battaglie studentesche e soprattutto quelli del terrorismo ancora da venire.
Immenso Gian Maria Volonté che, nei panni del capo della squadra omicidi, ci ha lasciato una mostruosa interpretazione, sicuramente tra le più sentite, sincere e studiate dell’intera storia del cinema italiano.
È grazie anche ai suoi movimenti, alla sua voce, al modo in cui si rapporta con i suoi sottoposti, ai suoi gesti che il film acquista credibilità e suggerisce il suo messaggio politico senza alcuna ambiguità e con la dovuta convinzione.